L’applicazione sempre più ampia del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno rispetto all’interdizione e all’inabilitazione trova giustificazione sicuramente nel profondo cambiamento socio-giuridico che ha investito la ratio del legislatore nella riforma introdotta dalla Legge n. 6 del 2004.
La riforma ha colto nel segno nella misura in cui ha dato corpo e significato ai principi di rango costituzionale che vogliono la piena tutela del soggetto debole e non del suo patrimonio; non a caso l’art. 1 della legge n. 6/2004 dichiara la finalità di tutela e aggiunge “con la minore limitazione possibile le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.” Il soggetto in difficoltà va quindi sostenuto, aiutato, supportato ma mai soppiantato se non quando è realmente inevitabile.
I procedimenti precedenti di interdizione e inabilitazione si trascinavano dietro dei retaggi del codice napoleonico e venivano instaurati esclusivamente per neutralizzare la capacità dispositiva dei soggetti deboli o presunti tali.
Un’inversione di rotta ha guidato i giudici tutelari ad utilizzare il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno come uno strumento duttile da applicare a fattispecie molto diverse tra loro modulando i poteri dell’ADS caso per caso nel rispetto della libertà di autodeterminazione del beneficiario.
Per cogliere realmente l’entità di questo passaggio chiarificatrice è la sentenza molto recente della Corte Costituzionale n. 144 del 2019 che si è pronunciata sulla questione di legittimità delle norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (art. 3, commi 4 e 5, L. n. 219/2017) nella parte in cui stabiliscono che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in abito sanitario, qualora manchino le disposizioni anticipate di trattamento (c.d. DAT) possa rifiutare le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato senza che vi sia l’autorizzazione del giudice.
Nel caso di specie il giudice tutelare, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, riteneva che la volontà di esercitare il diritto inviolabile e personalissimo di rifiutare le cure non poteva essere espressa dall’ADS, se pur con poteri di rappresentanza in ambito sanitario, senza la garanzia di un soggetto terzo ed imparziale qual è il giudice.
Il valore e la consistenza delle argomentazioni con le quali la Corte ha affrontato la questione rivitalizzano quel cambiamento di rotta che ha portato al centro dell’attenzione del legislatore, con la riforma del 2004, la tutela del soggetto-persona e della sua dignità evidenziando l’erronea interpretazione che ha condotto il giudice tutelare ha sollevare la questione di legittimità. Le norme in questione, infatti, non attribuiscono ipso iure all’ADS anche il potere di decidere sul consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale seppur gli sia stato attribuito dal giudice il potere di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.
Non si ha più quel potere di integrale di sostituzione del tutore nei confronti del soggetto interdetto o quei poteri di assistenza del curatore nei confronti dell’inabilitato ma si ha questo strumento, definito correttamente “duttile”, che consente al giudice di modellare fin dall’inizio o strada facendo i poteri dell’ADS in modo tale che quest’ultimo non sia da considerare colui che esercita il diritto di vita e di morte ma debba confrontarsi con i poteri ricevuti dal giudice e, prima ancora, con la volontà attuale o pregressa del soggetto amministrato qualora questa possa essere ricostruita.
Una lettura, dunque, costituzionalmente orientata e in armonia con la ratio dell’istituto che permette di adeguare la misura adottata dal giudice tutelare alla situazione concreta e di modularla nel tempo all’eventuale cambiamento della condizione dell’amministrato senza mortificarne la dignità e la libertà.
Il tema, affrontato durante il primo incontro del corso “L’amministrazione di sostegno e i soggetti fragili” tenutosi presso il Palazzo di Giustizia di Viterbo, ha senza dubbio permesso di comprendere anche sotto il profilo pratico il perché molte volte i ricorsi al giudice tutelare aventi ad oggetto l’istanza di nomina di un tutore siano rigettati lasciando invece spazio alla nomina di un amministratore di sostegno.