Il dibattito sulle misure di contrasto al COVID-19 è certamente fluviale e onnipresente e, soprattutto nelle ultime fasi dell’emergenza, ha coinvolto anche i profili giuridici e costituzionali a ciò connessi.
La discussione sull’evoluzione della comunicazione politica nel corso dell’attuale pandemia è certamente altrettanto interessante.
Ciò che risulta ancora scarsamente analizzata, invece, è l’eventuale connessione tra i due aspetti appena citati.
E’ dunque possibile individuare un rapporto tra l’innovativo utilizzo degli strumenti normativi in tema di COVID-19 e le peculiarità – anch’esse in parte inedite – della comunicazione politica sullo stesso tema?
Per valutare tale eventualità, risulta indispensabile individuare le fonti normative prescelte.
L’utilizzo dei D.P.C.M e la marginalizzazione del ruolo del Parlamento la comunicazione politica in tema di COVID 19 ha avuto (e mantiene tuttora) diverse caratteristiche peculiari e inedite: una particolare semplificazione, l’immediatezza, l’accentramento nella figura del Presidente del Consiglio e la rappresentazione sistematica dell’estrema urgenza.
Tali fenomeni sembrano trovare il loro parallelo nell’innovativa modalità di produzione normativa e nelle tensioni costituzionali che sono da ciò derivate.
Persino la limitazione collettiva delle libertà individuali (non solo, dunque, la definizione delle normative organizzative o di dettaglio), nella prima fase dell’emergenza, è avvenuta soprattutto tramite D.P.C.M. , in un contesto di obiettiva marginalizzazione del ruolo del Parlamento.
Il parallelismo appare evidente: la comunicazione politica (ancora una volta, anche tramite i social network) è stata accentrata ed immediata: il Presidente del Consiglio, con innumerevoli dirette, ha ritenuto di rivolgersi direttamente alla generalità dei cittadini.
Ugualmente la produzione normativa è stata accentrata (addirittura formalmente monocratica) e ha visto il proprio centro nevralgico proprio direttamente in capo al Presidente del Consiglio stesso.
Il vertice del potere esecutivo, in maniera innovativa, ha tenuto un rapporto diretto con la popolazione, sia per quanto concerne la comunicazione con la stessa, sia per quanto riguarda l’emanazione di norme direttamente incidenti sulle libertà dei cittadini, in misure e modalità finora ignote.
Tale modo di procedere, tuttavia, è stato davvero costituzionalmente corretto?
Per rispondere a tale domanda, occorre partire da un presupposto fondamentale.
Sebbene, infatti, la nostra Costituzione non preveda una specifica disciplina dello stato di emergenza (se non per il – diverso – stato di guerra , che comunque va deliberato dalle Camere), essa prevede ugualmente uno specifico strumento d’urgenza, che è ovviamente il decreto legge.
Quando si parla di limitazione dei diritti fondamentali, infatti, ci si muove in un ambito di sistematica riserva di legge che (assoluta o relativa che sia), comunque impone il vaglio del Parlamento (sebbene eventualmente nei limiti propri della normazione d’urgenza).
Dovrebbe essere scontato, infatti, che quando vengono limitate le garanzie di libertà dei cittadini, siano proprio i rappresentanti di questi ultimi a doversi esprimere su tali delicatissime questioni (sebbene nei limiti della legislazione d’urgenza): ciò è la stessa essenza della democrazia rappresentativa.
Il tutto può avvenire anche ex post, nel caso del decreto legge, o nell’ambito della definizione della delega, come nel decreto legislativo, ma di certo non è mai possibile una “delega in bianco”.
Sul punto va infatti ricordato che il d.l. n. 6/2020 conteneva una norma meramente attributiva di potere, in tema di emergenza sanitaria, ma la stessa era senza delimitazione di forma o di contenuto.
Stabiliva, dunque, proprio quell’inaccettabile “delega in bianco” che – in quanto tale – è ritenuta costituzionalmente illegittima.
Secondo il Presidente emerito della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri, si è trattato, in sintesi, di una “rimozione in blocco del controllo parlamentare e, di conseguenza, del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale. Ne deriva che, nelle ipotesi di emergenza, lo strumento, non surrogabile, da utilizzare per interventi immediati, è il decreto legge” .
Ma, almeno all’inizio dell’emergenza, non si è proceduto in maniera adeguata.
Come già indicato, infatti, era effettivamente emesso un decreto legge contenente la norma attributiva dei poteri, ma ciò non faceva altro che aggirare le garanzie costituzionali previste, visto che stabiliva il potere del Governo, senza precisare con sufficiente determinazione in quale direzione esso dovesse essere esercitato.
Non si tratta di questioni meramente formali: è in discussione il sistema di garanzie dei singoli cittadini, proprio in relazione alle forme di controllo sull’operato dell’Esecutivo in una tematica delicatissima: la limitazione delle libertà individuali in modi prima sconosciuti e straordinariamente profondi.
Anche le successive parziali risoluzioni delle problematiche in questione (con il d.l. n.19/2020), sono avvenute solo in ritardo e accompagnate da non poche polemiche sulla necessità di un iter parlamentare, percepito da alcuni quasi come un intralcio rispetto alla situazione di urgenza.
Tuttavia, così come la comunicazione tra Presidente del Consiglio e cittadini è stata più volte diretta (sempre nei momenti cruciali) e immediata, così la produzione normativa è stata gestita in maniera altrettanto immediata e verticistica, senza particolari possibilità di discussione, emendamento o verifica da parte degli Organi Costituzionali che dovrebbero fungere da contrappeso e garanzia per i diritti dei singoli.
Il corretto inquadramento delle libertà costituzionali compresse: libertà di circolazione e libertà personale.
Resta da comprendere, peraltro, la corretta qualificazione giuridica dei diritti costituzionali in gioco.
Infatti, se è vero che l’incidenza delle misure adottate sulla vita di ognuno è tuttora travolgente e quasi onnicomprensiva, è altrettanto corretto affermare che alcuni diritti siano stati compressi in maniera particolarmente clamorosa: libertà personale, circolazione e soggiorno, riunione, religione, diritto-dovere al lavoro, libertà di iniziativa economica privata.
Particolare attenzione mediatica è stata rivolta soprattutto alla problematica attinente al diritto alla circolazione , ma anche tale impostazione comunicativa sembra frutto di una semplificazione eccessiva.
E’ infatti stato dato per scontato che le principali limitazioni dovessero certamente essere ricomprese in tale ambito.
Invece è fondamentale definire proprio i confini tra il diritto di circolazione (art. 16 Cost.) e la libertà personale (art. 13 Cost.) in quanto le garanzie previste sono ben diverse.
Il diritto di circolazione infatti, già nel testo costituzionale, prevede la possibilità di “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”, il che non è invece previsto in relazione al diverso diritto della libertà personale.
Solo quest’ultimo, inoltre, è definito come “inviolabile” e presenta una specifica riserva di giurisdizione, con il coinvolgimento del potere giudiziario nella valutazione delle specifiche situazioni concrete, mentre non risulta che il Costituente abbia previsto (né ammesso), una limitazione della libertà personale adottata a carico della generalità della popolazione.
Ebbene, fino a che punto si comprime solamente la libertà di circolazione e quando invece si intacca anche quella personale, che richiede garanzie ancora maggiori?
L’intera Fase 1 della gestione dell’emergenza ha visto molte persone (prive di lavoro o di un animale domestico) poter uscire dall’abitazione solo per fare la spesa.
Non è detto, infatti, che tutti possano essere in grado di svolgere attività fisica all’aperto e comunque la possibilità di effettuare la stessa è stata contestata a lungo anche dalla comunicazione istituzionale soprattutto locale , nonché da parte rilevante dell’ondivaga produzione normativa.
Va poi ricordata l’ordinanza regionale che ha ristretto ulteriormente le uscite consentite, da intendersi “limitate ad una sola volta al giorno e ad un solo componente del nucleo familiare. 2.
E’ vietata la pratica di ogni attività motoria e sportiva all’aperto, anche in forma individuale”, il tutto – peraltro – in una Regione con un contagio obiettivamente limitato, generando così ulteriori tensioni in relazione al necessario rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità delle limitazioni.
Tuttavia, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale , non basta invocare il diritto alla salute (anche in relazione a patologie potenzialmente mortali ) per giustificare la compressione degli altri diritti costituzionali, ma occorre sempre operare un bilanciamento, che sia ragionevole e proporzionato, nonché per periodi di tempo limitati.
Ebbene, in concreto, moltissime persone prive di attività lavorativa in corso, senza animali domestici e facenti parti di nuclei familiari numerosi, si sono trovate nella situazione di non poter uscire affatto dall’abitazione, per più giorni di seguito, nemmeno per pochi minuti.
Chiunque abbia esperienza in campo giudiziario penale, ben sa che le misure degli arresti domiciliari o della detenzione domiciliare sono frequentemente (sebbene non sempre) caratterizzate da spazi di libertà ben più ampi di quelli concessi a parte rilevante della popolazione, nella Fase 1 della presente emergenza.
Ancora una volta, dunque, comunicazione e produzione normativa sembrano essere andate di pari passo, nell’ottica di un’eccessiva semplificazione, da cui è derivato un irrigidimento non sempre legittimo, ragionevole e proporzionato.
In molte situazioni concrete, infatti, il diritto compresso non è stato solo quello di circolazione, ma si è sconfinato nella limitazione della libertà personale al di fuori dei limiti dell’art. 13 della Costituzione, senza che tale opzione normativa venisse nemmeno sottoposta a un adeguato dibattito, né negli ambiti mediatici né nelle sedi proprie parlamentari, anche se nelle forme della normazione di urgenza.
Conclusioni
L’idea alla base del presente articolo, sembra in effetti confermata: la comunicazione politica e la produzione di norme giuridiche nel corso della presente pandemia sono entrambe caratterizzate da caratteristiche innovative.
Proprio quelle caratteristiche, inoltre, appaiono comuni e strettamente connesse tra i due diversi fenomeni: comunicazione politica e produzione di norme si intrecciano ed influenzano reciprocamente come non mai.
La comunicazione è stata semplificata all’estremo, spesso senza porsi particolari dubbi in relazione alle conseguenze costituzionali di quanto accettato, sostenuto ed auspicato; le norme, parallelamente, hanno visto un’allarmante semplificazione e deviazione del sistema di garanzie e contrappesi istituzionali, con marginalizzazione del ruolo del Parlamento.
La comunicazione è stata largamente accentrata nella figura del Presidente del Consiglio, che con numerose dirette si è rivolto direttamente alla popolazione, spesso anche prima che i provvedimenti annunciati fossero effettivamente redatti; le norme, soprattutto tramite lo strumento del D.P.C.M., sono state accentrate in capo alla medesima figura istituzionale, inizialmente anche in assenza di adeguata delega e delimitazione dei poteri da parte della normativa sovraordinata.
La connessione e il “corto-circuito” tra la comunicazione politica e l’uso innovativo (obiettivamente tecnicamente peggiore) degli strumenti normativi, sembra dunque evidente.
Non resta che auspicare la temporaneità di tali fenomeni, visto che la loro stabilizzazione sarebbe certamente costituzionalmente inaccettabile.