Il contratto preliminare, sorto nella prassi commerciale e normativizzato solo con il codice del 1942, costituisce oggi uno strumento contrattuale che va sempre più rispecchiandosi con la fluidità del momento storico economico in cui viviamo. Se, infatti, nasce semplicemente come un accordo funzionale al contratto definitivo, al quale la giurisprudenza riteneva non fosse neppure applicabile l’esecuzione forzata, nel tempo si è trasformato in un contratto assolutamente autonomo avente una propria causa giuridica, tant’è vero che dalla lettura sistematica del codice civile si ricava che quest’ultimo debba già contenere gli elementi essenziali e, in caso di inadempimento, vi sia la possibilità non solo di chiederne la risoluzione ma, in alternativa, anche di ottenere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. Non di poco conto poi l’intervento legislativo in tema di trascrizione con la L. n. 30/97 che ha introdotto l’obbligo della trascrizione per i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione dei contratti indicati dall’art. 2643 c.c.
Nella dinamica degli scambi il contratto preliminare svolge una “funzione di controllo e gestione delle sopravvenienze” che, da un lato, assicura alle parti in un determinato momento di poter cristallizzare una scelta contrattuale che – in linea di principio – espliciterà i suoi effetti (giuridici, economici e fiscali) solo in futuro e, dall’altro, protegge i contraenti da eventuali vizi materiali o giuridici inattesi. Si pensi ad un preliminare di compravendita di un immobile che impegna temporaneamente il promissario acquirente in attesa che siano regolarizzati alcuni punti (l’ottenimento di un finanziamento, il nulla osta ad un cambio di destinazione d’uso, il certificato di agibilità, etc). Gli interessi negoziali, dunque, a stipulare un contratto preliminare ad esecuzione differita, hanno carattere evidentemente di garanzia e di regolamentazione del futuro affare che dovrà definirsi entro un determinato termine.
Tuttavia, può accadere che le parti non abbiano previsto contrattualmente un termine di adempimento sottovalutandone la rilevanza contrattuale. Il rapporto sinallagmatico funzionale, ovvero quello che riguarda le obbligazioni, può in tal caso essere pregiudicato dal trascorrere di un lasso di tempo più o meno lungo e modificare gli interessi in gioco.
Quid iuris se una delle parti pretende l’adempimento dell’obbligazione assunta, nella specie la stipula del contratto definitivo? Potrebbe venire in soccorso l’azione contemplata dall’art. 2932 c.c. di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ma in realtà il petitum, nell’ipotesi in cui le parti non abbiano fissato il termine di adempimento, è quale sia il termine entro il quale la parte debba adempiere e non che la parte debba adempiere. Tuttavia, la Suprema Corte ha chiarito la questione sostenendo che qualora una parte, a fronte del rifiuto dell’altra di stipulare, agisca in giudizio ai sensi dell’art. 2932 c.c., la circostanza che i contraenti non abbiano pattuito un termine per la stipulazione del contratto definitivo è irrilevante, atteso che nella domanda proposta in giudizio è implicita anche la richiesta al giudice di fissare il termine predetto” (Cass. 16 ottobre 2006 n. 22112).
L’evoluzione giurisprudenziale ha poi messo in evidenza che trattandosi di termine di adempimento, in difetto di sua fissazione, è possibile entro l’ordinario termine prescrizionale decennale, rivolgersi al giudice affinchè provveda ex art. 1183 c.c. In particolare, , “il contratto preliminare è fonte di obbligazione al pari di ogni altro contratto ed il suo oggetto, cioè l’obbligo di concludere il contratto definitivo, non esclude che, ove non sia fissato un termine né in sede convenzionale né in sede giudiziale, sia applicabile, ai sensi dell’art. 1183, 1 co. c.c., la regola dell’immediato adempimento” (Trib. Isernia, 20 Marzo 2018).
Il principio quod sine die debetur, statim debetur – ciò che è dovuto senza una data, è dovuto immediatamente – trova oramai consolidata applicazione nelle ipotesi di assenza di pattuito termine d’adempimento essendo la prestazione immediatamente esigibile senza la necessità della diffida ad adempiere né del ricorso al giudice ex art. 1183 co. 2 c.c. Dunque, non occorre che il giudice fissi il termine perché si possa configurare un inadempimento, posto che la preprestazione è immediatamente esigibile; ciò che, invece, rileva nel caso in cui venga adito il giudice, a dirimere la controversia insorta tra le parti in conseguenza dell’inadempimento, è l’apprezzamento ex post della congruità del tempo trascorso tra la pattuizione e la pretesa dell’adempimento.
Il piano di confronto-conflitto tra la parte che pretende l’adempimento e l’altra, pertanto, si sposta su un profilo diverso che è quello temporale ovvero “il tempo scorso” che “deve essere oggettivamente congruo rispetto ai parametri fattuali indicati nella citata norma applicati nello specifico rapporto pattizio” (Cass. Civ. Sez. II n. 21647/2019).
La regolare esecuzione del contratto potrebbe essere, tuttavia, divenuta impossibile per un evento straordinario ed imprevedibile che non sia dipeso da azioni od omissioni dirette od indirette della parte ritenuta inadempiente. Dunque, nell’ipotesi in cui vi sia un evento caratterizzato dalla straordinarietà ed imprevedibilità – come si sta verificando in questo momento con l’emergenza sanitaria covid 19 – potrebbe non essere configurabile l’inadempimento, posto che la parte non ha adempiuto per impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Il configurarsi o meno dell’inadempimento in tali casi va valutato alla luce della natura della prestazione dovuta e, quindi, dell’interesse che in concreto la prestazione è diretta a realizzare. Nell’eventuale giudizio incardinato dovrà essere accertato, in primis, che l’impegno contrattuale sia stato assunto in un momento in cui le parti non avrebbero potuto prevedere l’evento straordinario e che in concreto l’evento renda impossibile e/o eccessivamente onerosa la prestazione. Qualora siano accertati tali profili, l’obbligazione potrà ritenersi estinta con conseguente scioglimento del contratto (artt. 1256 e 1463).
La disposizione ministeriale contenuta nell’art. 88 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19″, richiama il principio codicistico dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c, per i contratti di soggiorno ed i contratti di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi di cultura, già contenuto nell’art. 28 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9 per i contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo nelle acque interne o terrestre. L’attività legislativa pur ribadendo un principio codificato probabilmente è andata oltre in riferimento alla circostanza che, nel caso di contratto di acquisti di biglietti per spettacolo, musei e altri luoghi della cultura, non venga tenuto conto dell’eventuale mancanza di interesse della parte che non “può” adempiere a rimanere vincolata contrattualmente ricevendo un “voucher di pari importo al titolo di acquisto, da utilizzare entro un anno dall’emissione” e/o alla probabilità che la prestazione, in una situazione così straordinaria ed imprevedibile, sia divenuta eccessivamente onerosa.